Calcio – Dal Barcellona all’Enna, dai professionisti ai dilettanti: quando l’azionariato popolare è vincente

Condividi l'articolo su:

Cosa intendiamo per azionariato popolare nel mondo dello sport e nel calcio? Quali sono le caratteristiche di questo particolare sistema di gestione societaria e quali sono i club nel mondo che oggi sono gestiti in questa maniera? Si tratta di un tema che proprio nel nostro paese è tornato d’attualità di recente, con la decisione da parte del Governo di introdurre un emendamento nel disegno di legge relativo allo sport tesi a incentivare forme di azionariato popolare nelle varie società di calcio.

Fino a ieri, questa tematica viene ripresa in Italia esclusivamente in occasione di ripartenze di società sportive finite in fallimento. Ma la realtà è ben altra, come vedremo. L’esempio più fulgido e famoso di azionariato popolare tra le società sportive è senza dubbio quello dei club spagnoli. Il “modello Barcellona”, che oggi conta più di duecentomila soci, ha ben presto fatto scuola grazie al profondo attaccamento alla maglia e alle tradizioni catalane da parte dei tifosi blaugrana (circa il novanta per cento dei soci sono originari della Catalogna) e, soprattutto, grazie ai successi in campo internazionale ottenuti nel tempo dal club, ancora oggi tra le squadre in lizza per la vittoria in Champions League. In Italia, Cavese, Ancona ed Enna sono state tra le primissime realtà a seguire questa tipologia di gestione societaria nel mondo del calcio.

Ma perché risulta così difficile gestire una squadra di calcio in maniera fiscalmente responsabile? Le voci di spesa principale di un club calcistico di medio livello si dividono in tre grandi aree: i salari dei dipendenti (calciatori e altri tesserati), la manutenzione dello stadio e le spese di gestione dei campi di allenamento. Troppe volte, però, abbiamo assistito a crolli finanziari, dovuti alla “mala gestio” di alcune proprietà che hanno finito per ridurre sul lastrico club storici e assai rappresentativi del calcio italiano. Ed è in questi casi che ha preso corpo, sempre più in maniera ricorrente, l’idea che la proprietà in mano ai tifosi possa essere la via definitiva per il salvataggio dei club finiti al fallimento.

In Spagna e in Germania tutto questo è già realtà. In Italia abbiamo assistito all’esempio dell’Enna dove, qualche anno fa, il noto commercialista Fabio Montesano pensò ad un sistema di azionariato popolare per salvare il club siciliano dal momento di grande difficoltà economica in cui versava, fino a disegnare un progetto che prevedeva la costituzione di una società sportiva dilettantistica guidata da una cooperativa di soci-tifosi. Centinaia furono le adesioni e le sottoscrizioni (tra loro anche la campionessa del mondo di scherma Valentina Vezzali e l’ex viceministro Enrico Zanetti). Il modello Enna risultò essere vincente, tanto da meritarsi i complimenti e l’attenzione del Coni.

In Europa esistono anche altre tipologie di azionariato popolare. In Germania, ad esempio, esiste la regola del 50%+1. Introdotta nel 1998, questa norma impedisce ai club delle due principali divisioni del calcio tedesco di avere investitori esterni come azionisti di maggioranza. Sostanzialmente, saranno le proprietà dei club (e, di conseguenza, i suoi tifosi) a detenere la maggioranza dei propri diritti di voto (appunto, il 50%+1). I tifosi, in questo modo, avranno la possibilità di avere voce in capitolo per quanto riguarda, ad esempio, la gestione del prezzo dei biglietti di ingresso allo stadio o anche degli stipendi dei giocatori. Ecco perché in Germania gli stadi sono sempre pieni e le partite di Bundesliga sono sempre così “rumorose”.

Ma c’è anche l’altro lato della medaglia. Negli ultimi dieci anni, il massimo campionato tedesco ha visto trionfare solo due club (il Bayern Monaco e il Borussia Dortmund), ovvero le due realtà maggiori in termini di presenze allo stadio e attrattiva di marketing. Questo, sostanzialmente, ha tagliato via la concorrenza. Ma allo studio in Germania c’è anche una modifica al regolamento della norma del 50%+1, così da poter rendere nel prossimo futuro più competitiva la Bundesliga in campo europeo.

 


Condividi l'articolo su: