Cannabis light: è legale in Italia?

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Uno dei terreni più insidiosi nel panorama legislativo italiano è quello legato alla canapa light. Si sono sentite, e si sentono ancora, tante notizie al riguardo, e fanno capire ben poco sulla realtà della situazione. O meglio, una cosa la si può capire bene: c’è grande confusione quando si parla di quest’argomento.

Per questo motivo chi è interessato alla Cannabis light vive costantemente sotto la minaccia di avere problemi con la giustizia senza nemmeno saperne il motivo preciso La presenza di tante attività di commercio di prodotti light, come il noto negozio online di Justbob, farebbe intendere che non ci siano dubbi sulla sua legalità.

Ma la situazione è più complicata di quello che si può pensare.

Al riguardo i quotidiani non aiutano ma spesso puntano su titoli sensazionalistici o sullo sbandierare opinioni che, per quanto rispettabili, non sono legge e non devono incidere su ciò che si è liberi di fare.

In quest’articolo rivisiteremo le principali tappe storiche della legislazione italiana sulla Cannabis light per cercare una risposta a questo dilemma.

Cosa ha deciso l’Italia sulla Cannabis light

Per Cannabis light si intende una varietà selezionata in modo da produrre basse concentrazioni di THC.

Quest’ultimo è infatti, in quanto sostanza stupefacente, è il responsabile dell’illegalità della canapa.

Per analizzare la situazione legale attuale della Cannabis light è necessario ripercorrere le principali tappe nella legislazione italiana in materia.

La prima norma che ci interessa è il DPR n. 309 del 1990, conosciuto anche come Testo Unico Stupefacenti.

Tra le funzioni di questa legge c’è anche quella di definire cosa sia considerabile droga e cosa non lo sia. Per quanto riguarda la canapa, il dettato stabilisce che si debba considerare una pianta da droga salvi i casi di coltivazione a uso industriale consentiti dalla normativa europea.

A questo decreto si è venuta ad aggiungere, nel 2016, la legge 204/2016 redatta con lo scopo di promuovere la filiera agroindustriale della canapa.

Tale legge da il via libera alla coltivazione delle varietà di canapa “depotenziate”, ovvero contenenti una percentuale di THC inferiore allo 0,5%. Questo limite, abbassato a 0,2 nel momento in cui si vendano prodotti a base di questa pianta, impedirebbe che la pianta possa sviluppare proprietà psicoattive.

Oltre alla coltivazione, è permesso agli agricoltori anche commerciare le proprie piante, senza indicazioni precise sulla liceità delle singole parti della canapa. Nessun riferimento dunque alle infiorescenze, la parte che contiene la maggior quantità di cannabinoidi, che non vengono specificatamente vietate.

In questa legge sono inoltre indicate tutta una serie di destinazioni d’uso tra cui:

  • alimenti e cosmetici;
  • fibre;
  • olii e carburanti;
  • prodotti per la bioedilizia;
  • coltivazioni destinate al florovivaismo.

Qui occorre notare due particolari. In primis, non vengono esclusi esplicitamente gli usi non compresi nella lista. Inoltre viene esplicitamente indicato il florovivaismo come utilizzo consentito.

Citiamo direttamente dalla Treccani: florovivaismo – Attività professionale di produzione e commercializzazione di fiori recisi e di piante in un complesso di serre e vivai.

Ciò significa che secondo la legge 204/2016 è perfettamente legale anche la compravendita di infiorescenze.

Cannabis light: il parere della Cassazione

Da quanto si è detto finora sembrerebbe dunque che il commercio delle infiorescenze di Cannabis light sia perfettamente lecito. Tuttavia c’è un punto in particolare che non viene esplicitamente affrontato dalla legge: posto che l’acquisto è consentito, il suo consumo ricreativo è legale o meno?

A questo riguardo è difficile dare una risposta univoca perché ci troviamo su di un vero e proprio campo minato. Tant’è vero che sui prodotti a base di Cannabis light è normalmente indicato che la loro destinazione è il solo collezionismo.

La Corte di Cassazione è più volte intervenuta per dare il proprio parere in vari cause giudiziarie, ma, anche in questo caso, i risultati sono stati contraddittori e incoerenti.

Per fare un esempio abbiamo una pronuncia del 31 gennaio 2019 con la quale la coltivazione e il commercio delle varietà light venivano dichiarate pratiche lecite.

Questa era stata emanata in seguito al suggerimento del Consiglio Superiore di Sanità di bloccare la vendita di prodotti a base di Cannabis light.

Qualche mese dopo però la Cassazione è in parte tornata sui suoi passi.

Con la pronuncia del 30 maggio 2019 è stato infatti deciso che il commercio di canapa depotenziata non rientra nel campo di applicazione della legge 242/2016, in quanto quest’ultima disciplina la sola coltivazione.

In soldoni, la cannabis light  si può coltivare ma non vendere, con una specifica: sono esclusi dal divieto i prodotti che non hanno efficacia drogante.

E così nel tentativo di tappare un buco normativo si crea una voragine. Non è infatti specificato in base a quali criteri si debba valutare se una sostanza sia drogante o meno.

Si potrebbe dire tranquillamente che la canapa light non dovrebbe rientrare tra gli stupefacenti, in quanto ha un contenuto di narcotico trascurabile. Ma, se questo non viene messo nero su bianco, non si può avere nessuna certezza.

Finché non si rimetterà ordine nella normativa, l’iniziativa rimarrà nelle mani di chi di volta in volta sarà chiamato a decidere sui singoli casi. La discrezionalità dovuta al buco normativo è lo spauracchio che non consente di definire i contorni di una questione ancora fumosa come quella della Cannabis light.

In conclusione

Questa è l’intricata situazione legale della Cannabis light.

La legge italiana non ha dato una risposta davvero chiara e definitiva al riguardo ma, vista la liberalizzazione in atto ormai da anni in tanti Paesi occidentali, possiamo aspettarci la stessa cosa anche qui.

Magari ci vorrà ancora del tempo per passare sopra anni di proibizionismo e moralizzazione integralista, ma la direzione che ha preso la strada del progresso lascia pochi dubbi sul futuro.

 


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