Don Giuseppe Rugolo condannato a 3 anni in Appello: la Diocesi di Piazza Armerina ribadisce fiducia nella magistratura

giuseppe rugolo rosario gisana
Condividi l'articolo su:

La prima sezione penale della corte d’appello di Caltanissetta ha condannato a tre anni di reclusione don Giuseppe Rugolo, sacerdote accusato di violenza sessuale su minorenni. La sentenza riduce la pena rispetto al primo grado, quando il tribunale di Enna lo aveva condannato a 4 anni e 6 mesi.

I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado. La decisione conferma comunque la colpevolezza del sacerdote per i reati contestati.

La posizione della Diocesi

In seguito alla sentenza, la Diocesi di Piazza Armerina ha diffuso un comunicato stampa nel quale ribadisce “la propria fiducia verso l’operato della Magistratura che, con i vari gradi di giudizio, sta portando avanti il procedimento penale a carico di don Giuseppe Rugolo”.

Il Vescovo Monsignor Rosario Gisana aveva già avviato un procedimento canonico parallelo a quello civile, che si è concluso con una sentenza di condanna. Il dispositivo della sentenza canonica verrà reso noto “non appena diverrà esecutiva”, come precisato nel comunicato.

Vicinanza alle vittime e appello alla segnalazione

La Chiesa locale ha espresso “vicinanza, sostegno e solidarietà alle vittime e all’intera comunità, provate da una vicenda che ha provocato e continua a provocare divisione e dolore”. La Diocesi ha inoltre rinnovato l’invito a chiunque abbia subito abusi da parte di sacerdoti o laici con incarichi ecclesiastici a rivolgersi alle autorità civili competenti.

È stata ricordata la disponibilità del Servizio diocesano tutela minori ad accogliere segnalazioni, “affinché anche la Diocesi possa assumere provvedimenti congrui al caso”.

Il caso e le responsabilità della Diocesi

La vicenda di don Giuseppe Rugolo affonda le radici nel giugno 2017, quando i genitori di Antonio Messina si recarono per la prima volta dal vescovo Monsignor Rosario Gisana per denunciare gli abusi subiti dal figlio. Tuttavia, il presule prese tempo, dicendo che si sarebbe occupato personalmente della questione.

Passò oltre un anno prima che il vescovo incontrasse direttamente Antonio Messina, nell’ottobre 2018. Nel frattempo, don Rugolo venne addirittura nominato parroco della chiesa di San Cataldo, continuando il suo ministero nonostante le accuse pendenti.

Il tentativo di “risarcimento” e il silenzio

Dopo l’incontro con la vittima, il vescovo Gisana avviò sì un’indagine ecclesiastica, ma contemporaneamente offrì alla famiglia del ragazzo 25mila euro, che avrebbe prelevato dai fondi della Caritas, da giustificare con una generica causale di “borsa di studio”. Un risarcimento vincolato al silenzio che Antonio Messina rifiutò con fermezza.

Il sacerdote venne poi trasferito nella diocesi di Ferrara per un periodo di “studio e riflessione”.

Le intercettazioni e l’insabbiamento

Quando scattò la denuncia penale nel 2021, anche il vescovo Gisana risultò coinvolto nelle indagini.  Proprio il comportamento di copertura del vescovo fu stigmatizzato duramente durante la requisitoria del pubblico ministero Stefania Leonte, che mise in luce le gravi responsabilità della gerarchia ecclesiastica nel tentativo di nascondere la vicenda.

Il processo e le parti civili

Nel processo si erano costituiti parte civile, oltre alla vittima Antonio Messina (assistita dall’avvocato Eleanna Parasiliti Molica), anche i suoi genitori con l’avvocato Giovanni Di Giovanni. Si unirono alla causa anche l’associazione La Rete l’Abuso, assistita da Mario Caligiuri, e l’associazione Contro Tutte le Violenze con Irina Mendolia.

Come responsabili civili figuravano la diocesi di Piazza Armerina, assistita dall’avvocato Gabriele Cantaro, e la parrocchia di San Giovanni Battista di Enna, con Mauro Lombardo.

Don Giuseppe Rugolo era stato arrestato nell’aprile 2021 a Ferrara. Il tribunale di Enna in primo grado aveva inflitto una condanna a 4 anni e 6 mesi, ora ridotta a 3 anni dalla Corte d’Appello di Caltanissetta.

La vicenda ha scosso profondamente la comunità locale, mettendo in luce non solo gli abusi perpetrati, ma anche i gravi meccanismi di copertura e insabbiamento che hanno caratterizzato la gestione del caso da parte delle autorità ecclesiastiche.



Condividi l'articolo su: