Enna, Papardura: il santuario e le sue acque perenni

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In passato arrivavano in pellegrinaggio da tutte le contrade e i paesi della Sicilia. Vi si recavano a piedi, in groppa ai muli, su carri agricoli e, i più abbienti, in carrozza e calesse. Lo documentano i numerosi ex voto che ogni anno vengono esposti nel piazzale antistante la chiesa omonima dove è custodita la sacra effige rupestre, incastonata nella roccia della grotta, scoperta agli inizi del XII secolo, nel luogo dove fu edificato il tempio dedicato al SS. Crocifisso. Ogni anno, con inizio il 12 settembre, ricorre la festività molto attesa e seguita dagli ennesi, i quali si recano a visitare il Santissimo percorrendo la tortuosa strada della contrada che porta il nome di Papardura, un’amena località appena fuori città, dove fanno da cornice rocce a strapiombo e una vallata ricca di vegetazione. Il nome, secondo lo storico Littara, deriva da “papar”, acqua sorgente, e “dura” che è sinonimo di roccia. Gli arabi la chiamarono così, Papardura, per indicare “La roccia dell’acqua sorgente”.

Fino a qualche decennio fa la zona era anche ricca di orti, irrigati con le acque che affiorano dalle fessure della viva roccia. La più nota, la fonte appunto di Papardura, sgorga nella parte sottostante il Santuario e alimenta un antico abbeveratoio che è sormontato da un bassorilievo su pietra dura rappresentante lo stemma della municipalità. Le sue bocche di acque perenni, i cosiddetti “Cannola”, in origine dodici, adesso sono molto meno. Le stesse acque alimentano sedici vasche-lavatoi in pietra di Calascibetta e pietra lavica, dove qualche tempo fa sono stati eseguiti lavori di recupero e conservazione.

Molte generazioni di donne ennesi sono andate ad attingere acqua, a lavare la lana, a fare bucato (asciugando i panni sul prato) e, prima del rientro a casa, a fare il bagno ai propri figli più piccoli. Poche centinaia di metri più sotto vi era l’acqua sorgiva del “Crivello”, un unico “cannolo”, ottima da bere, attinta dalle donne con le “quartare” e con i “bbummuli”, recipienti più piccoli di solito portati dai Carusi.

“Vedevamo giovinette cariche di brocche. Andavano alla fontana e tornavano indietro dopo attinta l’acqua…Che curiosa e graziosa processione in mezzo al crepuscolo quelle portatrici d’anfore…”. Così descrive la scena delle “Donne ennesi all’acqua” Gastone Vuillier nel suo libro “La Sicilia, impressioni del presente e del passato”, ristampa anastatica dell’edizione originale pubblicata da Traves nel 1897.

Salvatore Presti

 


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