Un tempo bastava un mazzo di carte e un tavolo per creare un momento di convivialità. In ogni casa italiana c’era almeno un mazzo consunto, con le figure leggermente scolorite, custodito in un cassetto pronto a essere tirato fuori nei pomeriggi di pioggia, nelle serate d’estate o durante le feste comandate. Ma oggi, quanto sono ancora diffuse le carte da gioco nella vita quotidiana degli italiani?
Secondo le più recenti ricerche sulle abitudini ludiche nel nostro Paese, solo il 28% degli italiani dichiara di giocare abitualmente a carte, e la percentuale scende drasticamente tra i giovani sotto i 30 anni. Lo smartphone, i social network, i videogame e lo streaming hanno preso il sopravvento. Le carte, che un tempo erano un rito quasi quotidiano, stanno diventando un ricordo legato alle generazioni più anziane. E così ci si chiede: tra qualche decennio, sarà ancora possibile vedere persone radunate intorno a un tavolo a fare una briscola o una scopa?
Eppure, seppur con numeri in calo, la tradizione resiste in alcune nicchie. Nelle sagre di paese, dove il tempo sembra scorrere più lentamente, i tornei di briscola o di scala 40 fanno ancora parte del programma ufficiale, richiamando giocatori di tutte le età, spesso affiancati dai più curiosi o dai nostalgici. Anche durante l’estate, nei villaggi turistici o negli hotel con animazione, si organizzano tornei, a squadre o individuali, che riescono a creare quel senso di appartenenza e di “comunità temporanea” che solo un gioco antico e familiare può generare. In questi contesti, le carte tornano a vivere, anche solo per qualche giorno.
I giochi che resistono e quelli che scompaiono
Nonostante il calo generale, alcuni giochi di carte sono riusciti a mantenere una certa popolarità. La briscola e la scopa restano due pilastri intoccabili, radicati nella cultura popolare, semplici da imparare e perfetti per ogni età. Il burraco, invece, ha conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi vent’anni, soprattutto tra le donne over 50, diventando quasi un fenomeno sociale, con tornei organizzati in tutta Italia, club dedicati e app online che cercano di tenere viva la tradizione.
Anche la scala 40 mantiene il suo fascino, con le sue dinamiche più complesse che richiedono strategia e memoria. Questi giochi rappresentano un ponte tra generazioni, un codice condiviso che può unire nonni e nipoti, se solo ci si dà il tempo di imparare e giocare insieme.
Ma accanto ai giochi che resistono, ci sono quelli ormai quasi dimenticati. Chi gioca ancora a tressette? O a scopone scientifico? E il rubamazzetto, che faceva impazzire i bambini negli anni ’80 e ’90, oggi è quasi sparito. Questi giochi, un tempo tramandati a voce, nei cortili o nei bar, rischiano di perdersi per sempre, inghiottiti dalla frenesia digitale e dalla cultura dell’istantaneità.
Carte, memoria e identità: un gioco che vale la pena salvare
Salvare i giochi di carte dall’oblio non è solo una questione di nostalgia. È una forma di resistenza culturale, un modo per tenere vivi i legami, per riscoprire la bellezza del tempo lento, della socialità senza schermi, dello stare insieme con leggerezza e intelligenza. Le carte insegnano a leggere le intenzioni altrui, a bluffare con garbo, a perdere con dignità e a vincere senza superbia. Sono una scuola di vita mascherata da passatempo.
Forse non torneremo mai ai numeri di un tempo. Forse, tra qualche anno, saranno solo le case di riposo e i centri estivi a ospitare le ultime partite. Ma finché ci sarà qualcuno che saprà mischiare il mazzo e distribuire con il sorriso, le carte continueranno a raccontare qualcosa di profondamente italiano: la voglia di stare insieme, la capacità di reinventarsi il tempo, la gioia di un gioco che non ha bisogno di batterie, connessioni o notifiche.
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