Nel 1837 re Ferdinando II e la regina Maria Teresa visitarono Castrogiovanni

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Quando nel 1837 il colera imperversò per tutta l’isola e i siciliani credettero che il morbo fosse stato diffuso dai Borboni per piegare il popolo ribelle, “Palermo si agitava, Messina ruggiva, erompeva Siracusa, insorgeva Catania”. Castrogiovanni si affidò alla protezione di Maria SS., sua patrona e, quando il colera fu debellato sul finire di quell’anno, “si ritenne definitivamente salva: si scioglieva il cordone sanitario, si riprendeva il lavoro e il consueto modo di vivere, si innalzavano alla Vergine Madre SS. ringraziamenti per aver preservato la città da cotanto flagello”. Ma un’altra sventura dovettero sopportare i siciliani. Ferdinando di Borbone, con i suoi ministri, nell’intento di annullare tutti i privilegi della Sicilia avuti nel tempo, cancellò tutto quanto gli “faceva ombra”. Abolì le cariche di direttori dei ministeri presso la luogotenenza; soppresse il ministero istituito a Napoli per gli affari della Sicilia e riempì le amministrazioni di perversi funzionari napoletani. Nel frattempo aumentò i balzelli e aggravò le imposte. Crebbe quindi il malumore e l’odio dei siciliani per la corte di Napoli. Inoltre Ferdinando chiuse le accademie, le pubbliche società, moltiplicò le vessazioni e a Castrogiovanni il Casino di Compagnia ebbe la stessa sorte. Per riconciliarsi con il popolo siciliano, il re, nell’autunno del 1837 percorse la Sicilia in lungo e in largo. Il 14 ottobre, proveniente da Piazza, con la regina Maria Teresa e la corte al seguito, giunse  a Castrogiovanni. La reale coppia – si legge nelle cronache del tempo – rilevata in carrozza alla porta del Pisciotto – si avviò alla Basilica (il Duomo). Il popolo accorse numeroso, “non perché spinto dall’affetto, non per acclamare, ma per curiosità, per conoscere l’uomo ritenuto l’untore del colera”, e l’accoglienza fu fredda, non clamorosa. La coppia reale, entrata in chiesa, “apparecchiata bene ed illuminata a cera”, ricevuta alla porta dal magistrato municipale e dal Capitolo, dopo aver ascoltato le preci e ricevuta la benedizione, con il corteo che l’aveva accolta, passò nei due palazzi riuniti di monsignor vicario Gioacchino Vasisano e barone Vincenzo Polizzi. Ferdinando per visitare la città s’incamminò verso est. Giunto alla rocca di Cerere trovò una croce di legno abbattuta a terra dal vento, “s’inginocchia, la prende, la bacia e con le proprie mani la rimette all’impiedi”. Fu il gesuita Giovan Battista De Francisci che ne fece sorgere ben quindici sparse in tutta la città, atteso che ad Enna prevaleva il culto mariano. Fra queste si contava quella issata nella Rocca di Cerere. Di nessuna però è rimasta traccia.  All’indomani, di buon mattino, Ferdinando con la regina e il suo seguito lasciò la città e riprese il viaggio verso Caltanissetta.

(Nella foto: Ferdinando II di Borbone con la regina)

Salvatore Presti


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