A vedere le impressionanti immagini dell’invaso dell’Ancipa di questi giorni con pochissima acqua e in gran parte prosciugato, si rimane inorriditi e sorgono tante domande. Tra queste, ce n’è che può essere così riassunta: “se dovesse continuare questa tremenda siccità, che si sta trasformando in aridità, che fine farà la diga Ancipa?”. Non è una domanda peregrina.
Per la sua posizione ad un’altezza di 980 metri sul livello del mare, la diga Ancipa riveste un’importanza cruciale per il sistema idrico regionale. Ma se non si riempie d’acqua per questa prolungata siccità, che non accenna a finire, che fine farà la diga Ancipa? La diga Ancipa fu costruita dall’Ente Siciliano Elettricità (ESE) negli anni 1949-1952 sull’esempio delle dighe per produrre energia elettrica costruite negli Usa e per contrastare la grande depressione degli anni ’30 del Novecento.
Per molte aree dell’East Coast e del Midwest, in grande affanno economico e sociale, la costruzione delle dighe fu un potente motore di modernizzazione e di sviluppo industriale. Anche la diga Ancipa ebbe per Troina questa funzione di motore dello sviluppo, nel senso che segnò la sua transizione da paese povero con un’economia basata sull’agricoltura e la zootecnia in mano ai proprietari terrieri ad un paese ad economia post industriale di relativo benessere fondata sui servizi, saltando la fase intermedia dell’industrializzazione.
La diga Ancipa, che nel 1962 con la nazionalizzazione dell’energia elettrica passò dall’ESE all’Enel, fu costruita allora anche per irrigare i campi della Piana di Catania. A queste due scopi, produzione di energia elettrica e irrigazione, se ne aggiunse un altro attorno all’inizio degli anni ’70 del Novecento: raccogliere e fornire l’acqua per usi domestici a molti comuni della Sicilia Centrale. Ed ora che acqua non ce n’è più per nessuno di questi fini, che destino avrà la diga Ancipa?
Se si pensa alla fine che hanno fatto molte di quelle dighe costruite in America negli anni ’30, tremano le vene e i polsi: sono state demolite perché erano diventate costose e dannose per l’ambiente. In un articolo di Federico Rampini comparso sul Corriere della Sera di qualche anno fa, si parlava di 925 dighe distrutte negli Usa. Hanno conservato sole quelle più efficienti. Non meno inquietante è quello che di cui parla, nell’intervista rilasciata alcuni giorni al Corriere della Sera, Fread Pearce, consulente ambientale per “New Scientist”, autore libro dal titolo “Un Pianeta senz’acqua. Viaggio nella desertificazione contemporanea”. Per Pearce, l’epoca delle grandi dighe è finita per gli impatti e la scarsa resa energetica causata dalla frequente carenza di acqua.
Silvano Privitera
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