PALERMO (ITALPRESS) – La polizia di Stato, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 18 indagati (di cui 16 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione con l’aggravante del metodo mafioso, concorso in associazione di stampo mafioso, detenzione di arma comune da sparo. L’indagine avviata dalla Polizia di Stato e coordinata dalla Dda ha consentito di definire l’organigramma della famiglia mafiosa di Resuttana, a Palermo. Le attuali indagini, condotte dalla squadra mobile e dalla sezione investigativa dello Sco, avrebbero permesso di individuare gli odierni indagati, in qualità di indiziati, come organici al mandamento mafioso, consentendo, altresì, di raccogliere gravi elementi di colpevolezza sui loro rispettivi ruoli e contributi all’interno dell’organizzazione mafiosa nonchè sugli attuali assetti della suddetta consorteria criminale.
In tale contesto il quadro probatorio, accolto dal Giudice per le Indagini Preliminari, ha riconosciuto i ruoli apicali assunti nel mandamento da alcuni indagati, nonchè i sodali operativi nella riscossione del pizzo. Le acquisizioni investigative hanno delineato un quadro indiziario, accolto dal gip di Palermo, in cui gli odierni destinatari dei provvedimenti di cattura sarebbero ritenuti coinvolti “nella gestione di attività criminali esercitate all’interno del mandamento, con particolare riferimento alla deprecabile azione della riscossione del pizzo in danno di esercenti di attività commerciali ed imprenditori di zona, nonchè il controllo e la gestione dei servizi funerari presso l’ospedale di Villa Sofia di Palermo; attività illecite che rappresentano per la famiglia mafiosa di Resuttana fonte primaria di guadagno”. In tale ambito è stata richiamata nel provvedimento del gip la costante pressione del fenomeno estorsivo, che si rivela ancora una volta uno strumento indispensabile utilizzato da cosa nostra per mantenere il controllo del territorio di riferimento e garantirsi il sostentamento dell’organizzazione e delle famiglie dei detenuti.
Tale forma di depredamento si ritiene esercitata, secondo quanto accertato dagli investigatori, mediante diverse condotte, come la cosiddetta “messa a posto”, consistente nell’esborso di una somma di denaro da far confluire nella “baciliedda” a disposizione della cosca, nonchè nel recupero dei crediti vantati da soggetti vicini alla “famiglia”. Tali forme di “pressione” sono risultate molto diffuse, se si considera che il territorio in cui ricade il mandamento investigato è tra quelli in cui vi è maggiore incidenza di attività produttive in città. Come riscontrato nel provvedimento cautelare del gip la gestione della pressione estorsiva avrebbe creato anche delle fibrillazioni tra i due mandamenti confinanti, Resuttana e San Lorenzo, definite nel corso di una riunione chiarificatrice tra i rappresentanti delle due famiglie.
Il quadro indiziario, riconosciuto dal Giudice per le Indagini Preliminari, ha dimostrato il capillare controllo del territorio esercitato dal sodalizio criminale anche attraverso la contiguità con alcuni professionisti di settore o appartenenti al locale mondo imprenditoriale. Infatti, tra i destinatari del provvedimento restrittivo, in qualità di indiziati, figurano alcuni insospettabili, appartenenti alla cosiddetta “zona grigia” ed espressione delle contiguità tra professionisti locali, medi e piccoli imprenditori ed esponenti, anche apicali, del sodalizio criminale investigato. In qualità di indiziati emergono le figure di un commercialista, gravemente indiziato di associazione di stampo mafioso in qualità di consigliere economico del capo mandamento; di un notaio, sospettato di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso; di un imprenditore edile, sospettato di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso; di un imprenditore attivo nel settore della vendita di calzature, sospettato di concorso in associazione di stampo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso ed infine un imprenditore attivo nel settore della locale ristorazione, ritenuto gravemente indiziato di associazione di stampo mafioso.
Oltre ai provvedimenti cautelari personali, la Squadra mobile e la locale sezione investigativa dello Sco sono state delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ad eseguire il sequestro preventivo di due società che gestiscono una nota catena di esercizi commerciali con insegna “Antica polleria Savoca”. Un provvedimento, sottolineano gli investigatori, “suffragato dal documentato controllo da parte del sodalizio criminale delle attività economiche con forme di penetrazione tale da poter rientrare nella nozione di ‘impresa mafiosà”. L’odierno provvedimento, emesso dal gip di Palermo, si basa sui gravi indizi di colpevolezza e su un quadro indiziario emerso nel corso delle indagini, significando che le piene responsabilità penali per i fatti indicati saranno accertate in sede di giudizio. Per le delicate fasi dell’operazione l’attività esecutiva è supportata dai reparti speciali della Polizia di Stato tramite equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine, dell’unità cinofila e di un elicottero.
“L’operazione di polizia che stamani ha portato all’esecuzione di 18 misure cautelari, ha disarticolato il mandamento mafioso di Resuttana, decapitandolo del suo reggente e di altri uomini d’onore che ne costituivano figure di spicco nella gestione di sistematiche attività di estorsione ai danni di imprenditori di ogni ambito – ha detto il questore Leopoldo Laricchia -. Ma l’aspetto più rilevante consiste nell’aver portato alla luce la collaborazione alle attività criminali di professionisti, la c.d. borghesia mafiosa, che non ha esitato a mettere a disposizione le proprie competenze a vantaggio di cosa nostra. Ulteriore infiltrazione nell’economia si è realizzata mediante imprenditori della ristorazione che hanno a tutti gli effetti costituito una vera e propria impresa mafiosa insieme con il reggente del mandamento, con grave alterazione della concorrenza e della libertà di iniziativa economica. Questa operazione purtroppo fa emergere come, contrariamente al discorso pubblico ufficiale, una parte del mondo delle professioni e dell’impresa sia permeabile ai facili guadagni conseguiti attraverso l’utilizzo della forza intimidatrice della mafia”, ha concluso.
foto ufficio stampa Polizia di Stato
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