Mafia in provincia di Enna: relazione semestrale del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia

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Da tempo la provincia di Enna, cuore rurale della Sicilia, esprime una delle realtà socio-economiche più depresse dell’Isola, nella quale gli interessi della criminalità organizzata si concentrano soprattutto sulle possibilità che offre il settore agropastorale. Da tempo le organizzazioni mafiose, anche nella provincia di Enna, limitano il ricorso agli atti di violenza. Sfugge a questa regola la pratica dei danneggiamenti con finalità intimidatorie ai danni di cittadini e imprenditori. Nel semestre in esame, infatti, si sono verificati episodi di danneggiamento, molti dei quali mediante incendio e casi di estorsione. Il territorio ennese rappresenta da sempre un’area di espansione dei sodalizi di Cosa nostra nissena e catanese. È inoltre comprovata la tendenza delle consorterie locali al ricorso ad alleanze con le organizzazioni mafiose operanti nelle province di Catania, Caltanissetta e Messina.

In particolare, la persistente dinamica riorganizzativa interna delle compagini criminali avrebbe permesso ad alcune famiglie catanesi di inserire personaggi di provata fedeltà. Questi soggetti, dotati di capacità criminale ed abili nel tessere relazioni, fungono da “cerniera” tra le consorterie di Cosa nostra ed i clan catanesi.

Recenti operazioni hanno messo in evidenza i rapporti tra sodalizi ennesi e catanesi che hanno influenzato le dinamiche criminali in provincia di Enna.

Cosa nostra ennese si conferma strutturata nelle articolazioni delle famiglie di Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa e Calascibetta. Quest’ultima consorteria è stata colpita, nel semestre in esame, da una indagine che ha portato all’arresto di un esponente di vertice e di alcuni imprenditori che si assicuravano utilità sostenendo l’organizzazione mafiosa “…facendo da intermediari tra Cosa nostra e le ditte che eseguivano i lavori edili pubblici e privati… in cambio del sostegno mafioso per il conseguimento di forniture di calcestruzzo a danno di altre ditte o comunque senza doversi attenere a parametri concorrenziali”.

A queste famiglie sono collegati sodalizi nei territori di Piazza Armerina, Aidone, Valguarnera, Agira, Leonforte, Centuripe, Regalbuto, Troina e Catenanuova. Le consorterie che operano in questa cittadina, in virtù della prossimità alla provincia di Catania, si pongono come “gruppo di contatto” tra le realtà criminali delle due province.

Da alcuni anni, infatti, nel territorio di Catenanuova, ove risultavano attivi soggetti legati alla famiglia di Enna, è stato accertato il tentativo delle consorterie catanesi riconducibili al clan Cappello e alla famiglia Santapaola di estendere l’egemonia criminale.

Un’altra significativa indagine, giunta a conclusione nella primavera dell’anno in corso, ha ricostruito la composizione, i ruoli e gli affari della famiglia di Pietraperzia. Ad un incontro con elementi di vertice di questa famiglia hanno partecipato esponenti della famiglia Santapaola. Come si evince dall’Ordinanza di custodia cautelare, gli indagati, oltre a praticare estorsioni, usura, rapine ed acquisire il controllo di attività economiche, si erano attivati per “…garantire l’assunzione di vari sodali e soggetti avvicinati al sodalizio mafioso presso vari cantieri aperti nella zona, garantendo il continuo presidio del territorio, la permanente circolarità delle informazioni tra i vari appartenenti alla famiglia, nonché il reperimento e la custodia di armi e munizioni del sodalizio, assistendo altresì i sodali detenuti ed i loro familiari”. Le intimidazioni alle ditte edili, effettuate mediante minacce, hanno costretto gli imprenditori a corrispondere il “pizzo”. È di significativa importanza la documentazione di “…come in questo periodo storico, la famiglia di Pietraperzia…… sia quella a cui si rivolgono le altre compagini della Sicilia allorquando devono interloquire con la provincia mafiosa di Enna”.

Nell’ambito della citata attività investigativa trova conferma il fenomeno dell’illecita gestione di terreni per l’accaparramento di contributi agricoli da parte di Cosa nostra nella zona delle Madonie e dei Nebrodi. Il modus operandi prevede l’utilizzazione di aziende agricole e fittizi contratti di compravendita o di locazione di terreni. Gli indagati ricevevano fraudolentemente contributi comunitari, avanzando domande con cui dichiaravano falsamente di disporre di vasti terreni e di aziende agricole anche riferite a lotti di proprietà demaniale. Versavano poi parte di quanto ottenuto ai componenti del sodalizio mafioso. Dagli atti del procedimento emerge come anche consorterie di altre province siciliane hanno focalizzato l’attenzione sulle zone interne rurali, destinatarie di contributi al comparto agro-pastorale: si legge infatti: “…la famiglia… sebbene originaria di Capizzi, ha progressivamente spostato parte dei propri interessi nella provincia di Enna ove risiedono molti degli odierni indagati e dove insistono la maggior parte delle aziende agricole riferibili agli stessi”.

Questa attività investigativa conferma quanto rilevato nel precedente filone d’indagine “Nibelunghi”, nell’ambito del quale era stato appurato che i terreni demaniali venivano prima sfruttati dagli indagati e poi rivenduti all’ISMEA, senza averne titolo e mediante il ricorso ad atti falsi. Questa metodologia criminale era già emersa in altre indagini incentrate sulle truffe ai danni dell’Agenzia per le erogazioni dei contributi europei in agricoltura; in quel caso era stata accertata una vasta infiltrazione della criminalità organizzata nell’aggiudicazione dei pascoli demaniali del Parco dei Nebrodi. Da segnalare anche il sequestro, eseguito dalla DIA, di beni riconducibili ad un soggetto che pur non inserito in alcuna associazione criminale organizzata, è risultato gravato da precedenti penali per reati di usura, truffa, evasione fiscale, tali da evidenziarne la pericolosità sociale. Il valore dei beni sequestrati, consistenti in fabbricati, terreni, numerose società e una ditta individuale con sede in provincia di Enna, tutte operanti nell’estrazione di inerti, produzione di calcestruzzo, costruzione di edifici, gestione di sale giochi e ristorazione, è stimato in circa 7,5 milioni di euro.

Nell’ambito del Gruppo Interforze Antimafia, istituito presso la locale Prefettura, sono stati emessi provvedimenti di cancellazione dell’iscrizione alla white list anche nei confronti di alcune imprese collegate in vario modo a personaggi coinvolti nella citata operazione “Cerberus”, che ha rivelato rapporti intercorsi tra esponenti mafiosi ed imprenditori.

 


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